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26 Settembre 2019

Psicomotricità e Comunicazione.

Efficacia della terapia psicomotoria nel trattamento della triade sintomatologica dei DisturbiPervasivi dello Sviluppo.

Sintesi di uno studio.

di Carmela Giordano, Psicomotricista

Introduzione

La necessità, a volte da molti ed in tante occasioni trascurata, di cercare una spiegazione ad atteggiamenti e reazioni è di fondamentale importanza in ogni situazione che implichi scambi sotto qualunque forma e con qualsiasi mezzo, siano essi scambi dettati da necessità lavorative sia da relazioni interpersonali basate su affetti ed emotività. Comunicare è l’unica modalità per entrare in contatto con l’altro, creare relazioni, entrare nel gruppo, nella società (l’uomo è animale sociale, affermava Aristotele) rimanendo, però, sempre se stesso, lasciando che l’interlocutore scopra, o no, la natura di chi ha di fronte.

Quello che stiamo per intraprendere è un volo a bassa quota che ci permetterà di sorvolare mondi diversi popolati da esseri viventi che, non sembra, ma hanno tanto in comune. Tenteremo di farci un’idea di cosa significhi comunicare per gli esseri  viventi e di come, in definitiva, animali ed uomini (che sempre animali sono) riescano a trasmettersi informazioni utilizzando, quasi sempre, gli stessi canali; quanto sia importante la comunicazione per gli uni e per gli altri e, cosa più rilevante, quanto sia basilare la carica emotiva ed affettiva che la pervade.

Per far ciò dovremo necessariamente spaziare dalla comunicazione animale,  alla interazione umana per poi spingerci in un campo ostico che è quello dedicato alla comunicazione nella patologia soffermandoci su quello che tra tutti i disturbi è universalmente riconosciuto come inficiante la comunicazione: l’autismo. Meglio, oggi diversi quadri sintomatici vengono indicati utilizzando questo termine, perciò parleremo più genericamente didisturbi dello spettro autistico. Questa definizione racchiude tutte quelle patologie caratterizzate da severe alterazioni del comportamento, della comunicazione e dell’interazione sociale. Questo tipo di disturbi è classificato dall’American Psychiatric Association nel DSM-IV-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, quarta edizione, testo revisionato), come Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (PDD – Pervasive Development Disorder), che attualmente sono definiti per lo più come Disturbi dello Spettro Autistico (ASD – Autism Spectrum Disorders).

Quale collegamento esiste tra comunicazione e psicomotricità? Quali sono gli strumenti di uno psicomotricista?

Nel linguaggio comune il verbo comunicare è spesso utilizzato come sinonimo di trasmettere, questa piccola inesattezza fa si che un fenomeno complesso come la comunicazione sia confuso con una delle sue funzioni. In senso generale il termine indica, invece, l’insieme dei fenomeni che presiedono alla trasmissione dei segnali.

L’uomo è un animale sociale e la sua realizzazione come individuo dipende dalla relazione con l’altro da sé. La relazione è uno scambio che può avvenire esclusivamente in presenza della comunicazione, si crea così un rapporto interpersonale che innegabilmente influenza i soggetti coinvolti, un dialogo che diventa presupposto di crescita.

La comunicazione soddisfa diverse necessità: la costruzione del senso di identità, che nasce e si completa attraverso l’interazione con gli altri; ancora, la necessità può essere di tipo fisico, la sua presenza, o la sua assenza, può incidere sulla salute della persona; il senso di appartenenza sociale e di coinvolgimentocon gli altri; bisogni di tipo pratico, ad es. chiedere informazioni..

Caratteristiche della comunicazione sono consapevolezza ed intenzionalità, che possono essere più o meno accentuate, o ridotte. Nello specifico, si parla di comunicazione spontanea quando è casuale e non programmata, in contrapposizione (ma non escludendola) alla comunicazione intenzionale, che è invece finalizzata e, quindi, prevista e programmata.

I modelli

Per comprendere il concetto di comunicazione in quanto processo si può ricorrere a diversi tipi di modelli formali. La teoria matematica della comunicazione (il modello di Shannon e Weaver) è stata sviluppata per la necessità di creare, dal punto di vista fisico-matematico, le più efficaci condizioni per il trasferimento di segnali attraverso dispositivi di trasmissione. In ogni caso, l’applicazione di questo modello alla comunicazione umana comporterebbe alcune difficoltà, relative al processo di trasformazione del pensiero preverbale nel pensiero verbalizzato, del messaggio, cioè, nel segnale. Pertanto, l’origine matematica di questo schema non permette di delineare la complessità dei processi comunicativi in cui sono implicati dei soggetti umani. Per sottolineare tale complessità R. Jackson apportò alcune modifiche al modello di Shannon e Weaver  costruendo un modello della comunicazione umana capace di illustrare come e perché siamo in grado di parlare su qualcosa e di comprendere ciò che ci viene detto. Non a caso egli introduce esplicitamente due fattori innovativi quali il codice ed il contesto. Ma l’originalità del modello di Jakobson sta nell’organizzazione dello scambio del messaggio, che si configura in maniera ciclica, in quanto il mittente e il destinatario sono interscambiabili tra loro e, pertanto, la loro interazione continua all’infinito.

Un altro modello, riferito alla comunicazione intesa come processo psicologicoè quello che richiama una grande distinzione/contrapposizione tra due grandi modalità di intendere lo ‘scambio di comunicazioni’ tra gli esseri umani: informazione non è sinonimo di comunicazione. Vi è infatti una prima modalità di intendere il processo, riconducibile ad uno schema razionale-informativo, centrato sui contenuti, obiettivistico, che si può rappresentare nel seguente modo: si ha comunicazione quando una trasmittente invia un messaggio nozionistico-cognitivo ad una ricevente, tramite un qualche canale.

Esiste, poi, una seconda modalità di intendere il processo, riconducibile ad uno schema affettivo-comunicativo, centrato sui processi, inter-soggettivistico, che si potrebbe così rappresentare: sussiste comunicazione quando un trasmittente invia tramite un qualche canale un messaggio, elaborato in base ai propri codici valoriali e normativi ed al proprio sistema di credenze ed atteggiamenti, ad un ricevente che decodifica il messaggio secondo i propri sistemi di valori e norme, di credenze ed atteggiamenti. Ma il ricevente non si limita a questo, provvede infatti a sua volta, in continua alternanza di fasi, ad elaborare e trasmettere comunicazioni di ritorno (feed-back), formulate in base ai propri codici e ai propri sistemi di credenze e atteggiamenti, alla trasmittente, che a sua volta le decodifica secondo i propri sistemi di valori, norme, credenze e atteggiamenti. In tal modo, il ricevente è anche trasmittente e viceversa, in una continua circolarità delle funzioni, in un continuo scambio dei ruoli, in un reciproco influenzamento, al di là dei ruoli formali o apparenti.

A tale schema concettuale si possono ricondurre tutti i modelli emozionalistici della trasmissione di comunicazioni, modelli che inquadrano in tal modo anche il passaggio di informazioni, solo apparentemente meccanico.

La comunicazione ed il mondo animale

La forma più semplice di comunicazione è quella tra animali, la cibernetica ne ha fatto un modello per la comprensione della differenza esistente tra la comprensione della comunicazione e lo strumento attraverso cui si attua.

Annoverando anche quella umana tra le forme animali, possiamo tranquillamente affermare che la comunicazione è sempre tra animali. Il passaggio di segnali tra animali è un processo fisico che implica cambiamenti nel sistema nervoso di chi li invia e di chi li riceve apportando, in tal modo, delle modifiche a livello comportamentale.  In conclusione, un segnale inviato è compreso se i cambiamenti nel sistema nervoso del ricevente sono uguali ai cambiamenti nel sistema nervoso di chi trasmette. In questo caso la trasmissione del messaggio ha certamente un valore, ma non si può affermare che sia intenzionale anche se il suo avere una funzione è certamente innegabile, gli insetti sociali, ad esempio, sono geneticamente programmati. 

Possiamo, in sintesi, affermare che la trasmissione di informazioni da un animale all’altro tramite segnali è il prodotto di una specifica selezione naturale. La comunicazione si è evoluta, quindi, sia al servizio della riproduzione sessuale, come i segnali relativi alle condizioni di recettività sessuale nelle femmine o i comportamenti di corteggiamento, sia al servizio della delimitazione del territorio. È opportuno, tuttavia, ricordare che oltre che nell’ambito della stessa specie esistono tipi di comunicazione fra specie differenti, in particolare tra predatore e preda. Inoltre, nei primati che vivono in società si riscontrano forme di comunicazione attraverso espressioni facciali analoghe a quelle dell’uomo.

Lo studio della comunicazione nel mondo animale è solitamente affrontata secondo due differenti prospettive: l’ipotesi della continuità, che ritiene esista un continuum evoluzionistico tra le forme più elementari di comunicazione (come quelle dei batteri) e la comunicazione verbale umana. La seconda prospettiva, al contrario, sostiene l’ipotesi della discontinuitàtra linguaggio umano e linguaggio non umano.

Una proposta più articolata sulla comunicazione animale è quella di distinguere nettamente tra comunicazione non verbale (extralinguistica), in cui è possibile individuare una filogenesidei sistemi di comunicazione in tutto il mondo biologico, dotata di sicuro interesse comparativo, e la comunicazione linguistica, caratteristica propria soltanto all’homo sapiens.

I segnali degli animali ed i codici in cui sono ordinati somigliano sotto molti aspetti ai nostri sistemi di comunicazione, in quanto tutti sono intesi a soddisfare la necessità di trasmettere efficacemente informazioni.

Tuttavia, anche se molti sistemi di comunicazione tra animali si rivelano strutture complesse ricche di significato, la loro base è essenzialmente emotiva, come del resto accade per i suoni prodotti da un neonato o le espressioni mimiche di collera o di timore comuni a tutte le razze umane.

Un chiarissimo esempio del concetto sin qui espresso giunge dall’esame del linguaggio dei Primati.Questi hanno una competenza comunicativa multimodale, che si svolge soprattutto attraverso il canale visivo. La vita sociale dei primati è molto coesa e rigidamente gerarchica. La comunicazione ha un valore/significato stratificato in base al contesto ed al ruolo sociale che ogni individuo ricopre nella gerarchia sociale: maschio o femmina dominante, giovane maschio o piccolo. La classe più produttiva di messaggi è quella posturale. Il soggetto può comunicare sicurezza, insicurezza, aggressività o sottomissione in base alla postura del corpo, alla direzione della sua coda e all’angolo descritto dalla sua colonna vertebrale rispetto al suolo.

In conclusione, pare che la comunicazione animale si differenzi non tanto dalla comunicazione non verbale umana, con la quale è possibile rintracciare chiare affinità filogenetiche, quanto con il linguaggio verbale per i tratti fondamentali della doppia articolazione del segno e per la dipendenza dalla struttura, cioè dall’esistenza del livello sintattico della lingua umana. La dipendenza della struttura del linguaggio umano, in ultima analisi, consiste nel fatto che il parlante sa manipolare formalmente (cioè trasformare) una frase, sostituendone interi pezzi con altre parole senza sostanzialmente cambiare il significato del messaggio.

Ogni comunicazione è un fatto sociale, sia che avvenga tra due o più individui, sia che avvenga nel colloquio interiore di un individuo con se stesso. La ragione è dovuta al fatto che ogni segno è leggibile solo all’interno di un’esperienza comune o di un sistema basato su consuetudini culturali comuni. Per questo oltre alla sintassi ed alla semantica esiste una pragmatica che studia il rapporto dei segni con coloro che ne fanno uso in una determinata situazione. Ogni atto di comunicazione costituisce un rapporto sociale, lo si osserva molto chiaramente nella lingua, ogni frase è assertiva, interrogativa, imperativa o ottativa (riscontrabile nell’intonazione, nella scelta e nell’ordine delle parole). Su questa base si distingue la comunicazione, caratterizzata dall’intenzione del mittente di rendere il ricevente consapevole di qualcosa, dal passaggio di informazione dove questa intenzione è assente mentre ciò che conta è il valore o il significato che il ricevente attribuisce al messaggio, per cui vale la pena di osservare che il significato del mittente include la nozione di intenzione, mentre il significato del ricevente coinvolge la nozione di valore o significanza. Alla base di entrambi, dell’intenzione del mittente e del conferimento di significato da parte del ricevente, c’è la nozione di scelta, da ciò dipende uno dei fondamentali principi della semantica: il principio della scelta, ossia la possibilità di selezione fra alternative.

A livello psicologico la comunicazione viene letta in modi anche molto diversi dai vari orientamenti scientifici ed approcci metodologici.

L’approccio sistemico utilizza modelli di tipo energetico e modelli di tipo relazionale con le relative categorie di funzione, relazione, retroazione, ridondanza e contesto, riferite al mondo della comunicazione ed elencate da P. Watzlawick et al.

Quando le persone comunicano, oltre che scambiarsi informazioni, danno vita ad una interpretazione sociale, cioè compiono una sequenza di azioni concatenate, di mosse attraverso le quali si influenzano reciprocamente. I dati della pragmatica non sono soltanto le parole, le loro configurazioni ed i loro significati (elementi della sintassi e della semantica), ma anche i fatti non verbali, il linguaggio del corpo, il comportamento e quei segni di comunicazione inerenti al contesto in cui ha luogo la comunicazione. È chiaro, dunque, che in questa prospettiva tutto il comportamento, e non soltanto il discorso, è comunicazione, e tutta la comunicazione, compresi i segni del contesto interpersonale, influenza il comportamento.

Negli anni Sessanta e Settanta l’idea che lacomunicazione interpersonale sia interazione si è fatta strada grazie a contributi maturati in diverse aree. Un gruppo di ricercatori ( Watzlawick, Helmick-Beavin, Jackson, 1967) ha elaborato una teoria generale dell’interazione nella comunicazione interpersonale, basata su cinque assiomi, cinque affermazioni fondamentali su come si svolge l’interazione. Nella “Pragmatica della Comunicazione Umana” sono enunciati i cosiddetti assiomi della comunicazione che, dalla pubblicazione del testo (1967), hanno modificato in modo radicale ed irreversibile il percorso della psicologia contemporanea. L’elemento unificante dei suddetti assiomi, che non espongo per evitare di dilungarmi, non è la loro origine, ma la loro importanza pragmatica, che a sua volta si fonda non tanto su certe caratteristiche, quanto sulla possibilità di riferimenti interpersonali che offrono.

La lettura dei processi di comunicazione secondo queste leggi consente di metacomunicare, cioè di riconoscere le regole del gioco interagito dai soggetti, a prescindere da ogni considerazione sull’intenzionalità o sulla consapevolezza dei comunicanti. In pratica, un individuo non comunica: partecipa ad una comunicazione o diventa parte di essa.

Gli animali (uomo compreso), per comunicare, utilizzano un gran numero di canali sensoriali differenti. Ma da dove trae origine la comunicazione non verbale nell’uomo? Una risposta almeno parziale all’interrogativo di quali siano le origini della comunicazione non verbale nell’uomo può essere tratta da quanto già è stato detto riguardo alla filogenesi di alcuni comportamenti non verbali, ma il problema rimane aperto. Nel caso degli animali, i meccanismi comunicativi possono essere in larghissima parte ricondotti a fattori biologici, ma questa constatazione non può essere considerata sufficiente: è necessario cercare di chiarire i meccanismi evolutivi che hanno portato allo sviluppo dei segnali sociali utilizzati dalle varie specie. Nel caso dell’uomo, il problema è ancora più complesso, dato che elementari considerazioni portano alla conclusione che nella nostra specie la maggior parte dei processi comunicativi è appresa o comunque ampiamente modificata dall’apprendimento.

Rimane, tuttavia, da chiarire quanta parte esattamente del comportamento comunicativo umano, verbale o non verbale, sia biologicamente determinata e quanta sia invece attribuibile a fattori di apprendimento, e inoltre è ancora relativamente oscuro quali siano i tipi di apprendimento che entrano in gioco nella sua acquisizione; questo problema è particolarmente avvertibile nel caso della comunicazione non verbale. In base ai dati disponibili sembra che un insegnamento esplicito e cosciente della comunicazione non verbale sia relativamente raro, mentre un ruolo importante sarebbe svolto da fenomeni imitativi; una spiegazione in termini di imitazione può tuttavia essere difficile da sostenere, in particolare quando si tratti di usi complessi della comunicazione non verbale, come ad esempio l’elaborazione dei segnali non verbali che regolano il flusso del discorso tra due o più persone.

 Possiamo dire che la comunicazione non verbale comprende tutte le risposte umane che non possono essere descritte come parole espresse manifestamente. Una classificazione abbastanza comprensiva dei fenomeni non verbali può essere basata, ad esempio, sui canali sensoriali interessati (acustico, visivo, olfattivo-gustativo e tattile).

Tra i comportamenti non verbali si possono indicare il contatto diretto, la postura, l’aspetto fisico, i movimenti mimici e gestuali, la direzione dello sguardo e le variabili paralinguistiche indicative dello stato emotivo, come il tono di voce, il ritmo del discorso e la sua accentuazione, i movimenti del corpo o comportamenti cinesici, espressioni facciali, caratteristiche fisiche, comportamenti oculari, comportamenti di contatto diretto, paralinguaggio, prossemica; in più l’olfatto, la sensibilità cutanea alla temperatura ed al contatto.

I segnali non verbali hanno tre diversi livelli funzionali: definiscono, condizionano e limitano il sistema; contribuiscono a regolare il sistema, indicando la gerarchia e la priorità tra gli interlocutori, segnalando il fluire e il ritmo delle interazioni, fornendo metacomunicazione e feedback; comunicano il contenuto, a volte in modo più efficiente dei segnali linguistici, ma per lo più in modo complementare e ridondante rispetto al flusso verbale. In generale, bisogna ricordare che un’espressione comunicativa può includere, o meno, un comportamento verbale, ma che una componente non verbale è sempre presente.

I vari ruoli dei comportamenti non verbali nella comunicazione umana si possono definire in cinque funzioni generali specifiche del comportamento non verbale in rapporto alla comunicazione verbale che possono essere così schematizzati nelle seguenti categorie: a) Ripetizione. Ripete ciò che viene detto verbalmente. b) Contraddizione. Il messaggio non verbale può contraddire quello verbale. c) Sostituzione. Il comportamento non verbale può sostituire il messaggio verbale. d) Complementazione. Il comportamento non verbale può modificare o integrare i messaggi verbali. e) Accentuazione. La comunicazione non verbale può accentuare parti del messaggio verbale analogamente a quanto la sottolineatura fa per quello scritto. f) Relazione e regolazione. La comunicazione non verbale viene anche utilizzata per regolare il flusso comunicativo tra le persone che partecipano all’interazione.

In genere gli interlocutori si basano ampiamente, anche se inconsciamente, su tali feedback per verificare in che modo viene recepito ciò che stanno dicendo e per controllare se l’altra persona presta attenzione al discorso.

Le gesticolazioni, i movimenti del tronco, degli arti, delle mani, le espressioni della mimica facciale (in particolare il riso e il sorriso, i movimenti degli occhi, la direzione e la durata dello sguardo, la dilatazione pupillare) e la postura sono i cosiddettimovimenti del corpo, o comportamenti cinesici.

Ciò che è stato detto sinora conduce facilmente il discorso alla psicomotricità e, naturalmente, allo psicomotricista ed al suo ruolo.

Dal punto di vista psicomotorio hanno rilevante significato tutti i canali attraverso cui si esprime la comunicazione, sia nel loro aspetto di mediatori comportamentali, sia come strumenti professionali specifici dell’operatore, in particolar modo a livello di comunicazione non verbale.

Parte di tali strumenti è costituita dalla competenza nel  decodificare e decifrare tutti gli aspetti del comportamento non verbale degli individui e dalla capacità di riportare nel setting terapeutico tutte le informazioni rilevate, rendendole parte integrante e fonte primaria della terapia stessa. In tal modo, lo psicomotricista può utilizzare la propria comunicazione non verbale, o espressione corporea, per far emergere, laddove sia possibile, il linguaggio verbale o rendere questo, quando presente e non utilizzato come tale, una modalità di socializzazione.

Dalla teoria alla pratica

Mi sembra necessario riportare, a scopo esemplificativo, alcune brevi relazioni sul lavoro effettuato su 3 utenti. Ognuno di loro presentava sintomi inquadrabili nei Disturbi dello Spettro Autistico, dal Disturbo Pervasivo dello Sviluppo NAS, alla Sindrome di Rett, alla Sindrome di Asperger.

La relazione sul primo paziente è volutamente più particolareggiata in modo da evidenziare le tappe ed i cambiamenti del paziente nel corso dei tre anni in cui è stato sottoposto a terapia psicomotoria.

 Le altre tre relazioni sono sintesi delle osservazioni, dalla presa in carico allo scadere di un anno di terapia. Anche in questi pazienti si possono riscontrare chiari dati attestanti i cambiamenti o, quanto meno, i piccoli progressi ottenuti a seguito di intervento psicomotorio.

 Stefano C.

L’osservazione e la conseguente ricostruzione anamnestica, effettuata dal neuropsichiatra, rilevano un evidente disturbo dell’uso comunicativo del linguaggio (mancanza delle componenti comunicative, con presenza di ripetizioni di parole complesse), con scarso contatto visivo, difetto di utilizzo del canale uditivo e numerose stereotipie, prevalentemente gestuali con “sfarfallamenti” davanti agli occhi. Manipolazione dei giochi con ridotte capacità costruttive. Tutto ciò ha fatto porre diagnosi probabile di Autismo atipico, per pregressa sofferenza fetoneonatale (parto distocico per taglio cesareo deciso d’urgenza alla 37° settimana dopo rottura parziale  del sacco e bradicardia fetale. Indice Apgar 5-8; peso regolare. Sofferenza fetale acuta non precisabile) e con sintomi evidenziabile oltre i tre anni.

L’esame psicomotorio ha confermato la forte Instabilità Psicomotoria del bambino, il ritardo dello sviluppo psicomotorio, nonché evidenti stereotipie – sia linguistiche, da vari suoni emessi in continuazione che non hanno valenza comunicativa, allo “schiocco” della lingua, che motorie in forma di “sfarfallamenti” delle mani davanti al viso – anche se, a volte e dopo varie richieste, risponde coerentemente a semplici domande sia in modalità verbale che gestuale.

Visto l’esito dell’esame, il primo obiettivo è stato quello di instaurare con Stefano un rapporto di fiducia, che consentisse un approccio corporeo con il  bambino così da diminuire l’ipertonia diffusa ed iniziare una fase di riconoscimento di sé, ricreando uno schema corporeo capace di supportare lo sviluppo dell’immagine di sé che gli permettesse di poter concentrare la sua attenzione il più a lungo possibile sugli oggetti e sulle persone, dandogli la possibilità di diminuire, quanto meno, la sua instabilità e permettergli di trovare un canale di comunicazione con l’ambiente circostante.

Durante le prime sedute è stato instaurato un contatto comunicativo, tramite sguardo e relazione corporea, intesa come dialogo tonico.

I test e le osservazioni, effettuate durante il bilancio psicomotorio, hanno rilevato una aumentata capacità del bambino di concentrarsi su una singola attività indice, questo, di una instabilità psicomotoria, motivo principale della presa in carico, in continua diminuzione; il bambino inizia a percepire la differenza tra gli opposti stati tonici, ipertonia e rilassamento. Continua il processo di distinzione e riconoscimento delle variazioni toniche che risultano sempre più associate all’emotività.

Le attività, comunque improntate alla ricerca di sensazioni cinestesiche e labirintiche, si alternano,sempre più spesso, a momenti in cui il bambino pone in essere un rilassamento tonico volontario, supportato in ogni caso dalla psicomotricista, dimostrando, in tal modo, una crescente consapevolizzazione del proprio stato tonico. In questo ambito è rilevante il miglioramento della qualità del gesto che risulta adesso più armonico, economico e preciso. Aumentato il rispetto dei tempi d’attesa.

Pur mostrando una evidente preferenza verso le attività grosso-motorie, durante le quali è stato possibile rilevare un miglioramento nella coordinazione e nell’equilibrio,  è stato riscontrato un interesse sempre maggiore verso attività grafo-pittoriche che si traducono nel disegno di sé e dei suoi familiari.

Per quanto riguarda l’attività grafica, intesa come trascrizione di fonemi, il bambino è giunto alla scrittura pur rimanendo questa, nella maggior parte dei casi, una semplice trascrizione di segni.

Persistono stereotipie verbali che, comunque, tendono a diminuire, o addirittura scomparire, nel momento in cui il bambino rivolge l’attenzione a giochi che richiedono la sua completa concentrazione.

Lo scambio con l’altro avviene secondo i diversi livelli di comunicazione che il bambino sta gradualmente integrando. Il linguaggio verbale si arricchisce costantemente di nuovi termini. Per quanto riguarda la modalità di espressione emerge la concordanza tra i vari elementi della comunicazione ed è importante rilevare come lo stato tonico sia sempre più in sintonia con ciò che il bambino ha intenzione di manifestare. L’esito dell’esame conferma i miglioramenti nelle diverse aree di sviluppo pur permanendo un certo ritardo disarmonico. Per quanto riguarda la socializzazione, il bambino collabora ed interagisce volentieri ricercando l’approvazione  dell’adulto, accettando di rispettare i tempi, le modalità e le regole di una relazione interpersonale.

Jessica. Anni 8,11. Diagnosi di Disturbo di Rett con, in comorbidità, epilessia focale in trattamento farmacologico.

La relazione d’entrata, conseguente ad osservazione,  descrive una bambina che si mostra assente durante il trattamento. Partecipa parzialmente ad attività che, in qualche modo, riescono, anche se per pochi istanti, a stimolarla, ciò è evidenziato dall’inseguimento dell’oggetto con lo sguardo.

Manifesta stereotipie a carico degli arti superiori che compromettono l’uso funzionale delle mani. Si rileva impaccio motorio globale e deambulazione con base d’appoggio allargata. Il movimento appare grossolano, caotico e non finalizzato. Il contatto con l’ambiente circostante avviene tramite l’osservazione di oggetti e persone che la circondano. Accenna dei movimenti diretti ad afferrare gli oggetti (intenzionalità), ma non li afferra spontaneamente, né li trattiene se le vengono posti in mano. La bambina agisce sull’oggetto secondo un unico schema d’azione che consiste nel buttarlo a terra spingendolo. Il primo contatto con l’oggetto avviene utilizzando l’esplorazione orale.

A distanza di un anno la situazione di Jessica rimane sostanzialmente invariata. Nell’ultimo periodo alterna momenti di euforia a momenti di apatia, anche se sono frequenti momenti di iperattività forse imputabili al periodo preadolescenziale in cui si trova. Quando si presenta più tranquilla si riesce ad attirare la sua attenzione: incrocia lo sguardo ed insegue con l’occhio, accenna dei movimenti per afferrare un oggetto, ma ha difficoltà ad afferrare e trattenere. Le stereotipie a carico degli arti superiori sono sempre evidenti, ma si attenuano quando riesce a concentrarsi su un’attività.

Paride. Anni 4,6. Sospetta Sindrome di Asperger.

I risultati dell’osservazione mostrano assenza di contatto oculare, evitamento di contatto fisico, sia con oggetti che con persone, inesistente scambio verbale, linguaggio  circoscritto a ripetizione di frasi tratte da cartoni animati, in questo caso il tono ed il volume della voce sono alti più del necessario.

A livello grosso motorio, evidente goffaggine, mancanza di coordinazione ed equilibrio dinamico. Al contrario, è stata evidenziata una buona coordinazione per quanto riguarda il fine motorio, anche se il tratto nella scrittura, seppur quest’ultima fosse senza errori grammaticali ed una buona proprietà di linguaggio, risultava molto leggero a causa di una prensione non funzionale dovuta, forse, alla non accettazione del contatto fisico con gli oggetti, come sopra riportato. In tutto ciò, è stata osservata una difficoltà nel riassumere un brano letto, questo mette in risalto una buona capacità mnemonica non accompagnata, però, da capacità di concettualizzazione. Non esisteva gioco simbolico. Da sottolineare anche la non  accettazione di cambiamenti, sia nell’ordine di successione di eventi che di posizionamento di oggetti. Nel periodo di presa in carico si osservano piccoli miglioramenti riguardo l’accettazione dell’altro, restano ancora privilegiate le relazioni con l’adulto. La presenza di coetanei, o bambini più piccoli, è sopportata, ma non richiesta né, tantomeno, porta a scambi relazionali. Accetta di più il contatto con gli oggetti, ad es., accetta di sporcarsi le mani con i colori a dita (a questo proposito, è rilevante il miglioramento nel disegno e nella scrittura: nel colorare un disegno  sono rispettati i bordi, nella scrittura il rigo).

Resta, nel linguaggio verbale, la ripetizione di frasi tratte da cartoni animati, ma da qualche mese sono state registrate risposte anche a domande dirette  anche se il tono ed il volume della voce, in questi casi, sono molto bassi, quasi un sussurrare. Accetta il contatto fisico, ma non lo ricerca. Ancora assente il gioco simbolico. Gioca con la palla mostrando, grazie a tale attività, un miglioramento nella coordinazione e nell’equilibrio dinamico.

Conclusioni

L’etiologia, non ancora accertata, dei disturbi pervasivi dello sviluppo, conduce solo ad ipotizzare le cause che possono determinarne l’insorgenza e resta ancora da analizzare a fondo il susseguirsi di eventi che portano alla manifestazione di un quadro sintomatologico così vario e multiforme collegato ad un funzionamento atipico di strutture sia dal punto di vista anatomico che funzionale, evidenziando in tal modo una compromissione multisistemica di origine multifattoriale.

Gran parte degli studiosi è concorde nel confermare una causa biologica alla base del disturbo e anche in questo caso le ipotesi sono molteplici e non sempre confermate dalle analisi effettuate per l’accertamento. Sono stati effettuati studi i cui risultati evidenziano una familiarità per tali disturbi con rischio di ricorrenza, minore nei fratelli rispetto ai gemelli monozigoti, ma non avendo totale certezza, soprattutto nei gemelli, è da tener presente anche la possibilità di concause ambientali. A questo va aggiunto il riscontro di aberrazioni a carico di diversi cromosomi. In questo caso, la ricerca sulle cause genetiche dell’autismo ha individuato nuovi geni associati alla malattia confermando la possibilità di cause poligeniche.

In conclusione, esistono diversi modelli ma nessuno è in grado di rappresentare in maniera convincente ed unitaria la realtà autistica, in tutta la sua complessità sintomatologica.

I modelli teorici, tuttavia, sono necessari per guidare la ricerca e modificarla laddove in futuro potrà essere necessario. Per il momento, l’unica azione realizzabile è mirata ad attenuare i sintomi e, se possibile, aiutare le persone con questi disturbi a ricercare ed attuare diverse strategie comunicative e di interazione sociale per migliorare la loro qualità di vita.

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